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Disegno e teatro: così i carcerati possono vivere emozioni in libertà
 
Linda Dorigo
 

«L'amore per la vita e la pazienza sono i fiori della nostra libertà». A dirlo un gruppo di detenuti della Casa Circondariale coinvolti nel progetto "Dei-tenuti, per non trattenere le emozioni e i vissuti". L'atelier espressivo, che si è concluso ieri dopo cinque mesi, è stato curato dall'Associazione "Studio Openspace", da "Gest-Arts" ed è stato sostenuto dalla Regione e fortemente voluto dalla direzione e dall'area educazione del carcere.
Diretto dal regista Manuel Fanni Canelles e dalla psicologa Arianne Fonda, il laboratorio ha permesso ai partecipanti, italiani e stranieri, di divenire protagonisti di un pensiero e di affrontare nodi emozionali legati al disagio della detenzione, trasferendo il linguaggio emozionale al gesto e alla parola. «L'idea di costituire un gruppo - spiega la psicoterapeuta Arianne - ha incontrato qualche difficoltà legata al fatto che il mercoledì, giorno stabilito per i laboratori, è anche quello dei colloqui, tuttavia vi hanno preso parte una decina di persone e ci sono già tante richieste per l'anno prossimo». L'obiettivo del progetto è stato raggiunto: si è venuto a creare uno spazio capace di trasmettere ai detenuti la tranquillità necessaria per esprimere senza censure il proprio disagio, le paure, le emozioni e i vissuti personali, liberandosi così dai fantasmi interiori. Attraverso la mediazione dell'arte infatti sono state esplorate le storie personali: a partire dal disegno, si è passati poi al racconto e al teatro; per ogni persona è stata creata una cartella al cui interno sono stati inseriti gli elaborati, dando così la possibilità di considerare l'attività creativa del singolo nella sua interezza, seguendone i cambiamenti, le tematiche ricorrenti, i periodi di crisi e i progressi ottenuti. Haci per esempio è turco, dopo quattro anni e cinque mesi di detenzione, oggi è libero di far ritorno a casa e riabbracciare i due figli. L'esperienza gli è stata di grande aiuto, adesso sente una nuova energia dentro di sé: «Ho lasciato i miei figli che erano alti così - racconta indicando con il braccio verso terra - chissà come saranno ora...». Antonio è originario di Napoli e il laboratorio gli è piaciuto molto: «Una volta a settimana - commenta - è anche troppo poco. Ti lasci dietro quello che sei qua dentro, il perché, e conosci nuove persone facendo cose che magari non avevi ancora fatto». Vincenzo invece è triestino, è in attesa di appello e si racconta con grande consapevolezza del proprio passato da tossicodipendente, entusiasta dei risultati ottenuti: «Non avevo mai partecipato prima a questo genere di laboratori, all'inizio ero titubante, pensavo si trattasse di psicologia e invece, piano piano, sono stato capace di esprimermi anche con un mezzo a cui non ero abituato quale il disegno a mano libera. Quando mi hanno chiesto di disegnare un ricordo di mia madre per esempio l'ho raffigurato con un mattarello. Qui abbiamo una grande fortuna - conclude -, l'Ispettore aiuta sempre chi di noi ha più bisogno». E l'Ispettore Superiore, responsabile dell'area sicurezza della Scuola Carceraria, Romolo Incarnato, si sofferma nell'illustrare l'offerta formativa: «I detenuti possono seguire i corsi di italiano per stranieri, inglese e informatica, oltre a conseguire l'attestato di terza media e quinta elementare. Ogni giorno un'ottantina di detenuti usufruisce delle possibilità educative e ricreative messe a disposizione dalla struttura carceraria». Grazie al livello di fiducia raggiunto, i partecipanti hanno inoltre permesso l'utilizzo del mezzo audiovisivo e l'inserimento di un corpo estraneo come la macchina da presa. In questo modo, grazie al regista Vladimir Senin, è stato anche possibile riprendere il lavoro teatrale e le testimonianze degli stessi partecipanti. «È stato un grande arricchimento - commenta il regista Manuel Fanni Canelles - perché inaspettato: era la prima volta nell'ambiente carcerario e l'etichetta che connota un luogo come questo si è frantumata quasi subito. I partecipanti sono diventati uno specchio tra il dentro e il fuori, hanno permesso di riflettere su diversi concetti come quello della libertà, e ci hanno fatto trovare molte virtù, come la pazienza e la speranza, che all'esterno sono piuttosto rare». Dello stesso parere anche la direttrice dell'Area pedagogica Anna Buonuomo: «È stato il primo laboratorio di questo tipo a Trieste ed è stato un successo. Quelle ore che hanno trascorso nei laboratori sono valse come fossero state ore spese fuori».

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